La Naspi anticipata si può definire come un vero e proprio incentivo, volto all’auto imprenditorialità.
Più precisamente, per chi sta avviando un’attività d’impresa e percepisce l’indennità di disoccupazione, ad oggi detta NASPI, può richiedere all’Inps (a beneficio della propria futura attività) il riconoscimento dell’intera indennità residua in un’unica soluzione.
Il lavoratore che instaura un rapporto di lavoro subordinato, prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la liquidazione anticipata della NASpI è tenuto a restituire per intero l’anticipazione ottenuta, salvo il caso in cui il rapporto di lavoro subordinato sia instaurato con la cooperativa della quale il lavoratore ha sottoscritto una quota di capitale sociale.
Premesso questo, arriva la vera svolta ovvero: è stata dichiarata incostituzionale dalla Consulta la norma che prevede la restituzione totale della Naspi anticipata per rioccupazione con lavoro subordinato nel caso in cui l’attività d’impresa sia fallita per cause di forza maggiore: in tale caso, la restituzione è parametrata esclusivamente alla durata del periodo di lavoro subordinato.
Attenzione: illegittima non è l’integrale restituzione dell’anticipazione liquidata, in quanto tale meccanismo ha finalità antielusive e accerta che il denaro attribuito sia utilizzato esclusivamente per l’attività imprenditoriale in questione; ciò che alla Corte risulta incostituzionale è l’integrale restituzione laddove l’attività d’impresa non vada a buon fine.
IL CASO ESAMINATO DALLA CORTE
Il caso concretamente esaminato è quello di un lavoratore che, a seguito di licenziamento, ha richiesto la liquidazione anticipata dell’indennità Naspi che gli sarebbe spettata sino a maggio 2021: il motivo era legato ad un incentivo volto ad intraprendere un’attività commerciale, più precisamente l’apertura di un bar; la domanda gli è stata accolta nel settembre 2019 ed egli ha nell’immediato ricevuto l’importo della naspi anticipata (dunque il totale che gli spettava, in un’unica soluzione); l’attività è stata successivamente chiusa non solo a causa delle restrizioni legate al Covid-19, motivo per cui, il soggetto in questione ha deciso di non riaprire l’attività e di iniziare un nuovo rapporto di lavoro subordinato nel periodo di spettanza della Naspi : egli avrebbe dovuto restituire l’importo interamente ricevuto, relativo alla Naspi anticipata, importo pari a 19.796,90 euro: ecco su cosa è stata dichiarata l’incostituzionalità.
Più precisamente, è stato evidenziato che:
• Il ricorrente ha acquistato l’attività commerciale da soggetto terzo per un importo pari a quarantacinquemila euro che risulta essere somma superiore rispetto a quella anticipata dall’Inps tramite Naspi.
• L’esercizio dell’attività in capo al soggetto è durato oltre un anno, nel frangente di periodo dal 2019 al 2021, ma a causa della pandemia da Covid-19 è stata fortemente lesa la redditività del suo esercizio, ovvero, tramite dichiarazione dei redditi si è notato che nell’anno 2020 (anno della pandemia), non sono stati maturati redditi, o meglio i ricavi erano pari ad € 4.414 e dunque superati dai costi.
• In ultimo, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato durante il periodo di Naspi, motivo che ha fatto scattare la richiesta di restituzione, era giustificato dall’esigenza del soggetto di procurarsi un reddito per chiare e ovvie ragioni di sussistenza.
L’ILLEGITTIMITA’
La previsione di restituzione integrale è stata qualificata come colpita da irragionevolezza e mancanza di proporzionalità e dunque la Corte ha stabilito che l’obbligo restitutorio dev’essere calcolato sulla base della durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dalla Naspi perché, è oggettivamente ricevuta indebitamente.
RESTITUZIONE INTEGRALE DELLA NASPI: CHARIMENTI
L’obbligo di restituzione integrale della Naspi è sancito, quando l’attività d’impresa risulti improduttiva per scelte legate alla gestione dell’attività aziendale, motivi di insuccesso di quest’ultima; si tratta dunque di una fattispecie soggettiva. È invece incostituzionale e dunque non più richiesto né possibile, nella casistica di cui si è parlato all’inizio: cessazione di attività imprenditoriale per cause di forza maggiore, e più precisamente:
• Chiusure o restrizioni degli esercizi pubblici.
• Circostanze simili quali eventi naturali (si pensi ad un terremoto) o anche fatti dipendenti dall’uomo, come danni mossi da dolo ad opera della criminalità.
PERMANE L’INCOMPATIBILITA’ TRA ATTIVITA’ SUBORDINATA E NASPI
Ad ogni modo, la sentenza di incostituzionalità sul caso esaminato non tocca in alcun modo il rapporto tra attività di lavoro subordinato e percezione di indennità Naspi: rimangono incompatibili; e come già anticipato, nel caso di cause di forza maggiore come quello esaminato, l’obbligo di restituzione è parametrato alla durata del rapporto di lavoro subordinato se coperto da indennità Naspi.